Alcune considerazioni sul ritmo visto come elemento naturale

ABORIGENI SENZA "MISURA"

Trasformare la noia in entusiasmo, ingrediente essenziale
per recuperare talenti

di Antonio Buonomo

Il famoso musicologo e direttore d’orchestra Hans Von Bulow, parafrasando l’incipit del Vangelo secondo Giovanni, ebbe a dire: “Am Anfang war der Rhithmus” (in principio era il ritmo). Confucio molto tempo prima aveva detto: “La musica è il ritmo”.
Noi possiamo azzardare che il ritmo, quale evento che sta alla base di tutte le arti, nell’accezione tecnica che ci riguarda, rappresenta l’elemento naturale che ordina i suoni.

Questa dimensione ordinata dei suoni, nell’esecuzione musicale, si può ottenere in due modi: leggendo i segni di durata della notazione, oppure seguendo istintivamente la successione degli accenti forti e deboli.
Nel primo caso, si corre il rischio di realizzare un ritmo artificiale in quanto dipendente solo dalla lettura dei valori musicali. Nel secondo, invece, si esegue un ritmo istintivo e quindi naturale.

L’esecutore dovrebbe saper distinguere la differenza tra i due modi, per stabilire il predominio dell’elemento naturale su quell'artificiale. Ma ciò, ovviamente, diventa difficile quando il ritmo viene identificato con le figure di valore e/o confuso con altri coefficienti artificiali della notazione, come la misura, sulla cui utilità però non v’è alcun dubbio.
Nell’antichità il ritmo era l’unico elemento musicale conosciuto. Tuttora gli aborigeni di alcuni gruppi etnici suonano e vanno a tempo senza conoscere alcuna notazione né misura né valori di durata.

Il ritmo è anche la legge costante dell’attività organica (ritmo cardiaco, respiratorio, ecc.). La rapidità dei ritmi organici è sempre in rapporto agli sforzi necessari per compiere un qualsiasi impegno fisico: una corsa accelera i battiti del cuore e la respirazione, così come una musica può essere accelerata, dall’esecutore o dal direttore d’orchestra, quando l’interpretazione lo richiede, senza che il ritmo si perda.

René Dumesnil, autore di un importante trattato sul ritmo musicale, ha fatto notare come nelle opere di Wagner s'incontrano spesso i “ Leit-motiv” dal ritmo invariabile, che si adattano alle misure più diverse: binarie o ternarie, semplici o composte. In pratica, ciò che mantiene la loro unità ritmica, rendendoli riconoscibili, è la successione degli accenti che ritornano sempre in ordine puntualmente identico, ma indipendentemente dai valori di durata.

Un altro esempio di autonomia ritmica si trova nell’Allegro della sinfonia del “Nabucco” di Verdi, dove lo stesso tema è scritto in due modi diversi. Nel 4/4 (in due) con pausa coronata di minima, semiminima e due crome, e ancora due crome, pausa di semiminima, semiminima e due crome. Nel successivo Allegro (tempo tagliato in uno) la figurazione si presenta con minima e due semiminime, due semiminime e pausa di minima, in modo tale che gli accenti non cadano negli stessi punti. Sicché nel 4/4 il tema inizia in levare, mentre nel tempo tagliato lo stesso tema inizia in battere. La sensazione ritmica che noi riceviamo è la stessa e, ascoltandoli separatamente, non ci rendiamo conto di trovarci nell’uno o nell’altro caso.

Altri esempi del predominio della componente naturale su quella artificiale si possono ricavare dalla musica ritmica popolare (Jazz classico, afro-latino-americana, ecc.) dove l’esecutore raramente segue la musica scritta, e ciò non perché egli abbia memorizzato i valori di durata dei suoni (né lo potrebbe, visto che lo strumentista in questi generi musicali deve anche improvvisare), ma soltanto perché egli possiede uno spiccato senso del ritmo.

Nella “musica colta”, invece, accade spesso il contrario perché, alcuni esecutori, in luogo di realizzare il ritmo in modo naturale (mediante successione ad intervalli regolari degli accenti forti e deboli, indipendentemente dalla loro durata), lo fanno scaturire dal conteggio delle figure di valore. Sicché, anche per l’esecuzione di semplici e noti brani popolari, sono costretti a seguire la parte, o ad imparare a memoria i segni di durata dei suoni. Non deve stupire, perciò, il fatto di ascoltare musicisti anche preparati che, quando viene a mancare il supporto grafico dal quale scaturisce il loro ritmo, creano quella che tecnicamente viene definita “squadratura”.

La spiegazione di questo fenomeno va ricercata nel fatto che, negli studi tradizionali di base, si preferisce l’apprendimento dei segni di valore, considerato ancora propedeutico, per le esercitazioni pratiche (come se ad un bambino per farlo parlare s'insegnasse prima a leggere). In secondo luogo, nel fatto di sottovalutare puntualmente la pratica di generi popolari, a carattere prevalentemente ritmico, che sarebbero molto utili a livello formativo. Infine, nell’ignorare le grandi potenzialità offerte dalla moderna tecnologia che, coniugando parametri come la visione e l’ascolto la cui mancanza ha sempre limitato l’efficacia didattica del libro scritto, ha aperto nuove frontiere nella didattica musicale a tutti i livelli.

L’acquisizione ritmica in modo istintivo preparerebbe, invece, anche all’improvvisazione creativa della musica d’avanguardia, trasformando la frantumazione dello schema ritmico tradizionale soltanto in un fatto grafico. Questo perché l’aleatorietà (in altre parole la decisione del compositore di lasciare completamente o in parte la responsabilità della creazione ritmica all’esecutore) che spesso si accompagna all’asimmetria ritmica, potrebbe essere interpretata anche in modo lineare se l’esecutore fosse in grado di dare una quadratura, in senso classico, ai nuovi segni.

Nello studio musicale di base in teoria viene data molta importanza all’elemento ritmico. In pratica succede, invece, che la dilatazione dei tempi, con l’uso esagerato della suddivisione, assieme ai movimenti di autodirezione e alla ricerca del nome delle note, portano spesso a confondere l’unico elemento naturale della musica con altri componenti artificiali della notazione che, pur importanti ai fini dell’esecuzione, non possono sostituire quello che Arthur Honegger, giustamente, ha definito l’elemento fondamentale della musica.

Sarebbe quindi auspicabile un cambio di rotta nell’insegnamento musicale di base. Un cambio che desse la precedenza alle applicazioni istintive per anticipare quelle soluzioni pratiche che, trasformando in entusiasmo la noia che spesso s'accompagna al metodo tradizionale, potrebbe recuperare alla scuola musicale tanti elementi che da essa si allontanano prematuramente.