Il lungo viaggio del ritmo sincopato

QUANDO IL JAZZ LO FACEVONO I TAMBURI

di Antonio Buonomo

IIn musica, generalmente, il ritmo si adatta alla melodia dei vari stili e generi musicali.
Nel caso del jazz è successo l'esatto contrario, nel senso che è stata la melodia ad adattarsi al ritmo sincopato della musica africana.
Nello spiegare la musica ai bambini noi, per sottolineare l'importanza del ritmo, abbiamo affermato che... "La musica suonata da un'orchestra si può paragonare ad un film nel quale gli attori principali sono soltanto tre: armonia, melodia e ritmo. Senza armonia e melodia il film si può fare lo stesso, senza ritmo, no!"
I primi strumenti ritmici usati per fare musica furono lo stesso corpo umano (battito delle mani sulle cosce, sul torace e fra loro) e, verosimilmente, gli oggetti strumento disponibili in natura, come i rami strisciati al suolo o percossi fra loro (le attuali claves), le zucche agitate con semi secchi all’interno (le moderne maracas), le pietre battute fra loro, ecc.
La pratica del percuotimento delle varie parti del corpo, come forma primordiale d’espressione sonora, è ampiamente documentata. Ancor oggi, nella musica ritmica e in alcune danze popolari, troviamo il battito delle mani come componente ritmico di base.
A proposito delle prime esperienze musicali dei nostri progenitori, non possiamo fare a meno di ricordare i sorrisetti ironici di noi studenti di conservatorio quando, durante le lezioni di storia ed estetica musicale, s’ipotizzava che l’uomo avesse iniziato i suoi primi passi verso una maggiore “civiltà” musicale imitando il canto degli uccelli.
La figura di un uomo primitivo villoso e virile che s’impegnava per imitare il canto degli uccelli, sembrava fatta apposta per sollecitare lazzi e battute...da studenti.
Oggi, per fortuna, nessuno dubita che le percussioni siano gli strumenti originari della musica e che l’improvvisazione jazz, da ritmica e timbrica, sia poi stata trasferita su strumenti melodici dagli “immigrati” neri del nuovo mondo.
Col passare del tempo il ritmo acquista due fisionomie ben distinte: quell’austera della musica sacra e accademica e quella sfrenata e incontrollabile della musica popolare.
Per spiegare meglio questa diversità del ritmo, tuttavia, è necessario sapere che il ritmo musicale è costituito da una successione di accenti forti e deboli.
Per far marciare a tempo i soldati, ad esempio, si adopera il ritmo binario della marcia, che è composto da un primo accento forte (unò) e da un secondo debole (duè).
Nei ritmi quaternari (formati, ovviamente, da quattro accenti) sono forti il primo e il terzo accento, e deboli il secondo e il quarto. In pratica, come la somma di due ritmi binari.
La musica popolare di origine africana si è sviluppata su una diversa alternanza degli accenti forti e deboli. Così, quando in una frase musicale gli accenti forti vengono indeboliti e quelli deboli rinforzati, si verifica quel famoso ritmo sincopato che rappresenta l’ossatura della musica afro-americana. Naturalmente questo movimento ritmico esiste (ed è usato) anche nella musica sacra e in quella classica, però non è mai stato portato ad una forma così esasperata.
In Africa lo strumentario melodico era piuttosto scarno e questo spiega anche perché la musica era basata principalmente sulla sovrapposizione ritmica (poliritmia) e sulla variazione delle altezze sonore. Tali variazioni, ottenute mediante pressione delle dita sulla pelle o tendendo e allentando le stesse con tiranti (come nel caso del famoso tamburo parlante), davano vita a delle vere e proprie melodie.
Privati dei loro tamburi gli africani, trascinati a forza nel nuovo continente, portarono con loro la potenza vitale dell’improvvisazione ritmica e melodica che, in mancanza di strumenti, applicarono prima al canto e poi trasferirono sugli strumenti a fiato.
A questo punto, però, i neri d’Africa dovettero fare i conti con un altro sistema musicale basato su 12 suoni definiti (il famoso “Sistema temperato” che contiene solo toni e semitoni), mentre la musicalità degli africani, come quella degli asiatici, era abituata a considerare anche distanze più piccole come i terzi e i quarti di tono.
Per maggior chiarezza è bene precisare che nella musica occidentale la più piccola distanza che passa fra due suoni è il semitono (mezzo tono). In pratica, se sulla tastiera del pianoforte si suona un tasto bianco e il successivo tasto nero, si realizza la distanza di un semitono.
I terzi e i quarti di tono sono distanze sonore più piccole del semitono che si possono ascoltare, ad esempio, nell’attacco della famosa “Rhapsody in Blue” di Gershwin (glissando del clarinetto) o, più prosaicamente, col semplice ululato di una sirena.
A questa condizione sfavorevole, per il modo di fare musica degli africani, fu posto rimedio con “giochi” di emissione del fiato. Nacquero così le famose blue note del blues che, tecnicamente, sono una variazione del suono verso il basso di alcuni gradi della scala musicale.
La diversa fisionomia del ritmo, assunta negli stili musicali e nella musicalità della gente, si può chiarire osservando le diverse reazioni degli ascoltatori. Il pubblico dei concerti nostrani, ad esempio, quando vuole seguire il ritmo batte le mani solo sugli accenti forti. In pratica, nell'ipotesi di un ritmo di marcia, sempre sul primo movimento. Il pubblico che segue il blues, invece, nello stesso caso batterebbe le mani sul secondo accento: cioè su quello debole.
Questo dimostra che la sensibilità musicale si sviluppa in base alla musica che si ascolta.
I musicisti provenienti da studi classici, quando suonano i ritmi sfrenati, tipici del jazz, hanno bisogno di portare il tempo battendo il ritmo col piede. Un vero jazzman pensa solo all'improvvisazione perché il ritmo lo segue istintivamente. Questa è la grande differenza fra chi è abituato a seguire il ritmo della musica classica e il jazzista.
In Italia, prima e durante la seconda guerra mondiale, la negritudine (ossia l'insieme dei valori storici ed autentici della tradizione spirituale e musicale nera) era quasi sconosciuta. Le poche orchestre che suonavano musica ritmica erano definite "orchestre di musica leggera", anche se già da qualche tempo musicisti come Bartok, Respighi e tanti altri, attingevano al repertorio ritmico popolare. Del resto, se si pensa che gli strumenti a percussione nel Medio Evo furono addirittura banditi dai sagrati delle chiese perché... eccitavano gli animi, il ritardo del nostro paese verso un fenomeno culturale come la musica popolare afro-americana, non può stupire più di tanto.
Alla fine, il vero ritmo del jazz è giunto in Italia con l'esplosione del Boogie-Woogie che, si può dire, viaggiasse al seguito delle truppe d'occupazione americane.
In quel periodo uomini, donne, vecchi e bambini furono sedotti dal ritmo sfrenato del nuovo ballo acrobatico. E mentre i musicisti provavano le prime improvvisazioni sulla base armonica dei blues, passò quasi inosservato il fatto che, probabilmente, era stato completato il lungo viaggio del ritmo sincopato che, partito tantissimi anni prima dall'Africa nera, aveva conquistato il mondo... senza mai fare la guerra a nessuno.


Antonio Buonomo per il bimestrale Percorsi.