Quando Arturo Benedetti Michelangeli disse che il triangolo stonava…

ACCORDANDO IL TAMBURO PARLANTE

Tutte le percussioni a membrana possono variare l’intonazione allentando
o tendendo le pelli ma non sempre l’accordatura viene curata adeguatamente

Il tamburo è senza ombra di dubbio lo strumento più popolare al mondo: lo è sempre stato, sin dalle origini, e ha continuato ad esserlo nel corso della storia.
Esistono migliaia di tamburi, costruiti con i materiali più disparati; tra questi, gli strumenti più straordinari e scenografici sono di sicuro il “tamburo parlante” (un tamburo che presso alcune popolazioni rappresenta addirittura la voce melodiosa degli dei) e il tamburo di legno africano. Quest’ultimo, usato anche per trasmettere messaggi e segnali a distanza, è considerato uno degli strumenti primitivi tra i più ricchi di possibilità espressive.
Il compositore argentino Alberto Ginastera nella sua composizione “Cantata para America magica” ha usato ben sei di questi tamburi di differenti dimensioni.

Il tamburo parlante (Talking-drum), come molti sanno, è uno strumento a forma di clessidra che ha due pelli tenute assieme da budella animali. Si suona tenendolo tra il braccio sinistro e il fianco, per avere libera la mano che ha il compito di tendere e allentare le corde di budella. In questo modo, quando la pelle superiore viene percossa con una mazza ricurva tenuta nella mano destra, la sinistra può cambiare l’intonazione.
Tutte le percussioni a membrana possono variare l’intonazione allentando o tendendo le pelli: i timpani, abbassando o alzando l’apposito pedale; gli strumenti etnici, come il djembè, “stirando” la pelle mediante pressione delle mani. Naturalmente, per dare il massimo delle loro capacità sonore e timbriche, questi strumenti devono essere registrati alla perfezione e ben accordati.
Accordare uno strumento a membrana significa predisporre la giusta intonazione iniziale allentando o tendendo le pelli, mediante i vari meccanismi di tensione, fino al raggiungimento dell’altezza desiderata.
La "registrazione" iniziale (che precede l’accordatura) è importantissima perché, se in corrispondenza di ogni vite o tirante, le frequenze non sono tutte uguali, il suono non potrà mai essere preciso o addirittura ”determinato”.

Nei vecchi trattati di strumentazione la grande famiglia dei tamburi viene tradizionalmente classificata tra gli strumenti a suono indeterminato, vale a dire tra gli strumenti che non producono suoni di altezza definita. Per questa ragione, l’accordatura non viene curata adeguatamente.
In realtà tutti gli strumenti a membrana, e persino i gong o i tam-tam, possono produrre suoni di altezza definita.
Una volta, durante la prova di un concerto, un direttore d’orchestra si fermò più volte perché, a suo dire, un cornista suonava un re bemolle che non esisteva in partitura. Dopo varie discussioni facemmo notare al maestro che la “nota estranea” che lui sentiva era prodotta da un gong che vibrava per simpatia, quando suonavano i corni. Questo sta a dimostrare che anche strumenti come i gong o i tam-tam, che si definiscono a suono indeterminato, sono, in realtà, strumenti ricchissimi di suoni armonici che, accavallandosi alla nota iniziale, rendono non più distinguibile il suono fondamentale.

Contrariamente agli idiofoni, come i gong o i tam-tam, che producono il suono mediante vibrazione dell’intero corpo, i membranofoni quali, ad esempio, djembè africani, tabla indiani e tamburi in genere, se accordati a regola d’arte, producono suoni precisi e facilmente classificabili.
La ragione principale della errata classificazione tra gli strumenti a suono indeterminato sta nel fatto che mentre un violino o una chitarra hanno una sola vite, sulla quale si deve lavorare per allentare o tendere ogni singola corda, un tamburo ha dieci o dodici viti, per allentare o tendere una pelle. Ne consegue che, se in corrispondenza di ogni vite le frequenze non sono tutte uguali, il suono non può essere “determinato”. Ed è questa la vera ragione per la quale anche i timpani (membranofoni a suono determinato) a volte non risultano intonati.
Per provare questa tesi, nel DVD "La scuola di percussioni e batteria" (Curci 2006) abbiamo messo un accordatore elettronico vicino a un tamburo bene accordato e la lancetta, dopo la percussione, si è fermata sulla nota FA (quarta linea in chiave di basso). Nella fattispecie, un'ottava sopra alla nota che i primi jazzisti usavano per accordare la gran cassa della batteria jazz.
Queste peculiarità delle percussioni, sottovalutate o poco conosciute, hanno creato (e continuano a creare) non pochi problemi a solisti e direttori d’orchestra. Persino Arturo Benedetti Michelangeli, durante una prova del concerto n° 1 in mi bemolle per pianoforte e orchestra di Franz Listz, continuava a lamentarsi perché il triangolo…era intonato. In pratica, il triangolo invece di produrre un suono indeterminato, capace di amalgamarsi con qualsiasi melodia o accordo, produceva una nota di altezza definita che era in contrasto con i suoni della sua esecuzione. Alla fine, dopo aver provato vari strumenti, si riuscì a trovarne uno che aveva il suono desiderato dal grande solista.
Anche il più umile tra gli strumenti a percussione, dunque, deve possedere le giuste caratteristiche sonore e coloristiche della sua categoria. Ma a parte i leggendari solisti, come Arturo Benedetti Michelangeli, quanti altri sono in grado di capire che un gong può emettere dei suoni per risonanza simpatica e che un triangolo non deve essere intonato?

Antonio Buonomo per Il giornale della musica